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Dopo Hofer guardiamo al futuro
31.8.09

INFO SOCIALISTA 31 Agosto 2009
a cura di n.zoller@trentinoweb.it - tel. 338-2422592

Trento/Bolzano: www.socialistitrentini.it / www.socialisti.bz.it
Quindicinale - Anno VI
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o Un articolo su l’Adige per cominciare: “Dopo Hofer guardiamo al futuro” - di N. Zoller

o RAI. PROTESTA DI NENCINI PER LA MANCATA COPERTURA DELLA CELEBRAZIONE DELLA NASCITA DEL TRICOLORE

o "La sinistra non può vincere senza le culture socialiste, socialdemocratiche, repubblicane e liberali" - di L. Passerini

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Un articolo per cominciare:
“Dopo Hofer guardiamo al futuro” – giornale l’Adige del 28 agosto 2009, pp. 1 e 55

Bene ha fatto il presidente Dellai nel corso d’agosto a ribadire uno stop ai nazionalismi e allo scontro tra Alpini e Schützen, con l’invito a studiare la nostra storia “meditandola” con l’occhio rivolto “al futuro”. Eppure il 2009 è stato ed è l’anno di ricorrenti e plurime celebrazioni promosse dalle nostre istituzioni provinciali per il bicentenario della vicenda storica legata ad Andreas Hofer. C’è allora da chiedersi cosa tale vicenda possa offrirci oggi, se vogliamo appunto guardare “al futuro”.
Uno storico attentissimo alle vicende mitteleuropee come Claudio Magris ha riassunto così l’esperienza hoferiana e dei suoi Schützen: essa sarebbe l’espressione di una retorica patriottica “tradizionalista e paesana, patriarcale e feudale” e Hofer – con il suo motto ‘Per Dio, per l’Imperatore, per la Patria’ – “un nemico di ogni novità”.
E quali erano queste “novità”? Erano quelle che già a partire da metà ‘700 tendevano a modernizzare l’organizzazione statale: esse erano state anticipatrici delle analoghe riforme napoleonico-bavaresi, che introdotte nei primi anni dell’Ottocento avrebbero provocato la reazione del movimento hoferiano. Parliamo delle riforme volute dal cosiddetto “assolutismo illuminato” che provava appunto – seppur in forma paternalistica e verticistica – a portare un po’ di luce in un mondo ottenebrato dall’arretratezza e dalla superstizione. Così Maria Teresa d’Austria e suo figlio Giuseppe II – tra il 1740 e il 1790 – promossero i primi interventi in campo scolastico per favorire l’istruzione elementare del popolo (operazione mal digerita dagli ambienti più reazionari e ultra-clericali), in campo sanitario (con provvedimenti per l’inumazione dei cadaveri fuori dalle chiese e dai cimiteri siti in centro abitato e per le prime vaccinazioni), liberando i contadini dal servaggio secondo cui “chi nasceva contadino doveva ‘felicemente’ morire contadino”, introducendo il catasto ai fini di una maggiore regolarità nel controllo delle rendite, promuovendo poi un cauto processo di laica separazione tra Stato e Chiesa cattolica e limitando pratiche devozionali che sconfinavano in riti di esteriorità idolatrica.
Contro questi timidi moti verso la modernità si mossero il celebrato Hofer e i suoi Schützen, che fecero scoccare la rivolta anti-bavarese (come si può ulteriormente notare, nel mondo tedesco – la Baviera – e austriaco – con Giuseppe II – si muovevano fortunatamente istanze anche modernizzatrici…) proprio perché erano state applicate le norme sulla tolleranza religiosa e l’uguaglianza dei culti. Non a caso lo storico Christoph von Hartungen sintetizza così la figura e l’opera di Hofer: egli “fu un tipo di patriota molto legato alla Chiesa e alla dimensione religiosa; la sua speranza era quella di ristabilire un forte potere ecclesiastico e una situazione dove il potere politico fosse in mano ai vescovi e più in generale al clero”.
Per buona sorte c’erano nella Chiesa cattolica dei preti umanitari che non condividevano questo clericalismo teocratico. Esemplarmente è stato ricordato da Maria Garbari che don Francesco Tecini – studioso illuminato e parroco di Pergine per tutta la prima metà del 1800 – scrisse e predicò a favore della tolleranza religiosa verso “i Giudei, i Turchi, i Luterani, che sono tutti figli di Dio come noi”, sostenendo allo scopo la separazione tra Stato e Chiesa cattolica. Ma qui vorremmo anche e soprattutto ricordare don Tecini per la forza con cui si batté – nel pieno dell’ epoca che avrebbe prodotto il moto hoferiano, era il 1807 – contro una tracotante superstizione religiosa che impediva la vaccinazione antivaiolosa dei bambini: era assurdo – affermava - giustificare i decessi facendo appello “all’ordine naturale e alla volontà di Dio intenzionato ad avere nuovi angeli in cielo”! Il vero comando divino – continuava don Tecini – era invece quello di difendere la vita ed i genitori che rifiutavano la vaccinazione per i figli si rendevano corresponsabili della strage degli innocenti.
Ecco, anche queste erano le miserie dell’epoca. Cosa dobbiamo celebrare allora? Cosa resta di positivo nel moto hoferiano e di utile per rivolgersi “al futuro”? Gli studenti sudtirolesi negli anni post-contestazione 1970-1980 considereranno Hofer “il simbolo negativo del passato, colui che rappresenta la tradizione e la tendenza alla chiusura da parte del Tirolo di fronte alle novità e ai cambiamenti”.
Vien proprio da sottoscrivere e confermare anche oggi questo giudizio. E allora, se dobbiamo trovare situazioni storiche da celebrare e meditare che possano lanciare in modo pertinente uno sguardo “al futuro” evocato da Dellai, al progresso nei rapporti tra mondo italiano e tedesco dell’area alpina e mitteleuropea, suggerirei - tra le varie opzioni possibili – di riandare ad un’altra ricorrenza: parlo – a 110 anni di distanza – del Congresso della Socialdemocrazia tenuto nel settembre 1899 a Brünn. Questa assise - come ricordava Cesare Battisti, quando ancora continuava con fiducia a ritenere possibile la ‘liberazione’ di tutte le nazionalità nella cornice dell’impero austriaco (si veda la sua pubblicazione “Una campagna autonomistica – Il Partito socialista e l’autonomia del Trentino”, ed. Stet, Trento, 1901) - aveva proposto per la buona convivenza tra i popoli e le nazionalità dell’impero una soluzione confederativa-democratica di stati autonomi retti da parlamenti nazionali eletti con suffragio universale uguale e diretto, tale da scongiurare conflitti e discriminazioni laceranti tra le varie nazionalità. Che fossero necessari interventi radicali lo aveva ben dimostrato per tutto l’800 l’animosità dei popoli che non reggevano la preponderanza dell’elemento austriacante e poi austro-ungherese a discapito di altre nazionalità (italiana, slovena, ceca, slovacca, polacca, ucraina, croata, bosniaca, montenegrina…). Basti pensare che nel Trentino si sviluppò una “lunga lotta per l’autonomia, condivisa da tutte le componenti politico-ideologiche e dalle popolazioni: dal 1861 fino allo scoppio della guerra mondiale – rammenta l’opera curata da Lia de Finis “Percorsi di storia trentina” – le richieste di una amministrazione autonoma rivolte alla Dieta tirolese e al Parlamento di Vienna furono numerose e reiterate, ma sempre destinate al fallimento per opposizioni politiche, irrigidimenti sui principi o per circostanze sfavorevoli”.
Dunque riandare a “meditare” il programma federalista di Brünn – che se accolto in tempo dalla dirigenza imperialregia avrebbe potuto evitare lutti orrendi alle nostre terre e all’Europa intera – sarebbe operazione ben più utile di altre. Aiuterebbe anche a capire meglio quello che mons. Iginio Rogger ha “svelato” nella sua recente lezione su De Gasperi: il ruolo dei trentini come “minoranza etnica incompresa sotto gli Austriaci”, che come ogni altra minoranza è in grado – quando viene riscattata e riconosciuta nei propri diritti entro un solido quadro costituzionale – di concorrere a garantire pari diritto di vita e di crescita ad ogni altra minoranza o nazionalità, anche a quella degli eredi degli antichi oppressori.

Nicola Zoller – presidente del Consiglio comunale di Brentonico
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RAI. PROTESTA DEL SEGRETARIO SOCIALISTA NENCINI PER LA MANCATA COPERTURA DELLA CELEBRAZIONE DELLA NASCITA DEL TRICOLORE

29/08/2009 -
''Nessun servizio Rai sull' unica manifestazione in Italia che celebrava la nascita del Tricolore, a Reggio Emilia, simbolo dell' unità e dell' identità della nazione. Una mancanza indegna, da parte di un servizio pubblico, che la dice lunga sul tasso di ipocrisia che regna nel nostro paese''. E' dura la protesta di Riccardo Nencini che ieri sera a Reggio Emilia ha celebrato la nascita nella città emiliana della bandiera tricolore, ''un simbolo che , proprio nel momento in cui divampano le polemiche sull' unità dell' Italia , ne configura e ne ricorda invece l' identità e i valori su cui si fonda come Nazione e come popolo''. Nencini, che ha mandato anche un messaggio di protesta al presidente della Commissione di vigilanza, Sergio Zavoli, si chiede ''il motivo di scelte giornalistiche che evidenziano l' assoluta mancanza di rispetto per le regole che dovrebbero guidare un servizio pubblico come la Rai''.

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"La sinistra non può vincere senza le culture socialiste, socialdemocratiche, repubblicane e liberali"
Pierluigi Bersani, al Meeting di Rimini, nell'incontro “Una strada per l'Italia” del 26 agosto 2009 ha concluso il suo intervento con un proposito che avrebbe meritato maggior attenzione.
“A novembre noi parleremo dell'89, del Muro, facciamo stavolta una riflessione sul nostro muro, perché noi avevamo il muro in casa, a differenza di altri paesi europei, il muro è caduto ha creato un vuoto d'aria, quel che è venuto fuori da diverse parti, ha comunque avuto un'impronta di antipolitica una delegittimazione della politica, invece perché economia e società si diano la mano ci vuole una politica. Una politica credibile. Ci vuole assolutamente. Partiamo quando è novembre, facciamola questa riflessione”.
Con l'espressione “avevamo il muro in casa” Bersani fa riferimento all'anomalia italiana rispetto al panorama europeo: negli altri Paesi dell'Europa occidentale la forza principale della sinistra è sempre stata il partito socialista, mentre in Italia, il “paese più a ovest del blocco dell'est”, lo era il partito comunista.
Alberto Ronchey, giornalista e scrittore italiano, ministro dei beni culturali nel Governo Amato I e nel Governo Ciampi, in un editoriale sul Corriere del 30 marzo 1979 («La sinistra e il fattore K») impiegò la formula “fattore K”, “K” per Kommunizm in lingua russa, per analizzare le ragioni dell'impedimento al ricambio di governo in Italia come tendenza o “regolarità empirica”. Infatti, nel momento in cui un potente partito comunista prevaleva su ogni altra opposizione, il ricambio di governo risultava impossibile.
Con quel nome legato alla tragica esperienza sovietica, senza un'ideologia e una politica estera compatibili con le condizioni storiche dell'Europa a ovest del muro berlinese, i comunisti non potevano esercitare un'alternativa di governo e contemporaneamente impedivano che fossero i socialisti o socialdemocratici a rappresentarla.
Il “fattore K” è decaduto poi a causa di eventi come l'implosione del muro di Berlino, la dissoluzione dell'Urss e la svolta del Pci convertito in Pds al prezzo di alcune scissioni.
Anziché però pensare alla creazione di un grande partito riformista unitario, a causa di errori di molti protagonisti dell'epoca, venne aperta una stagione giustizialista e di “delegittimazione della politica”, in cui i postcomunisti furono protagonisti ritenendo che quella fosse l'unica strada per poter sopravvivere alla distruzione dei partiti dell'Italia democratica.
In tal modo però hanno condannato la sinistra al disastro elettorale, perché non può vincere senza le culture socialiste, socialdemocratiche, repubblicane e liberali, senza quel 25% di voti che è confluito, per mantenere intatta la propria identità, verso Forza Italia e l'astensionismo.
Hanno cavalcato la polemica “antipartitocratica” dimenticando come ovunque i partiti più “pesanti” siano quelli di sinistra, i quali traggono dall’organizzazione parte della propria forza.
Distrutti i partiti, la forza del denaro si è sostituita nelle campagne elettorali alla forza dei militanti, e il denaro, per definizione, sta dalla parte della destra.
Si è cavalcata in questo contesto, contro i partiti tradizionali, anche la personificazione, ma si è dimenticato che il leaderismo favorisce il populismo contro lo spirito critico, la demagogia contro il ragionamento politico, armi impiegate con maestria da Berlusconi, Di Pietro e dalla Lega che hanno riempito il “vuoto d'aria”.
Di fatto però ancora oggi, nell'elettorato persiste una considerevole diffidenza come residuo del “fattore K” che si deve superare con plausibili e adeguate scelte politiche. Penso quindi che il proposito di Bersani debba e possa essere mantenuto e che questa “riflessione” sia necessaria per creare una “politica credibile” che possa far unire le ragioni “dell'economia e della società”.
Lorenzo Passerini

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