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Libro SPERANZE
30 luglio 2009

INFO SOCIALISTA 30 luglio 2009
a cura di n.zoller@trentinoweb.it - tel. 338-2422592 -

Trento/Bolzano: www.socialistitrentini.it / www.socialisti.bz.it
Quindicinale - Anno VI

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o Un libro per cominciare: Paolo Rossi,“Speranze”, ed. il Mulino (commento di N. Zoller- MONDOPERAIO n.5/2009)

o PARTITO SOCIALISTA: Adelante ma con juicio - dal giornale "L'Altro" - diretto da Sansonetti

o IL PD DIALOGHI CON LE FORZE RIFORMISTE E SOCIALISTE, NON CON I GIUSTIZIALISTI - di Lorenzo Passerini

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Un libro per cominciare ("Tutte le cose del mondo conducono a una citazione o a un libro" Jorge L. Borges)

o Autore: Paolo Rossi
o Titolo: “Speranze”
o il Mulino, 2008, Euro 9,00

Commento tratto da da MONDOPERAIO n.5/ luglio-agosto 2009 - rubrica Biblioteca/schede di lettura, p. 94-96.
Leggilo anche su www.mondoperaio.it sotto il titolo:

IL DIAVOLO E' NOSTRO NONNO - di Nicola Zoller

Per ricordare in modo più intimo e diverso il 25 aprile 2009 è apparso sul giornale “Trentino” – ad opera di Franco de Battaglia - un mio commento al libro di Guglielmo Petroni “Il mondo è una prigione”. Petroni che aveva fatto la Resistenza subendo anche feroci torture da parte dei nazisti, ne era uscito perdendo la speranza di “credere ancora alla bontà della vita e degli uomini”. E’ stato il destino di altre vittime di quella violenza estrema, a partire da Primo Levi.
Noi che siamo nani rispetto a questi giganti e – come si suole dire – ci aggrappiamo alle loro spalle per scrutare meglio le strade dell’esistenza, non possiamo che partire dai loro patimenti e dalle loro riflessioni per trovare qualche nuova possibile ragione di vita. Recentemente ho pubblicato una ricerca letteraria intitolata “La vita è scettica”, che è guidata da un avvertimento: solo andando “in fondo alla notte”, al deserto a cui rischia di ridursi la vita, sentiremo il bisogno di un pensiero che salvi la ragione, l’amore, la convivenza umana. Una ricerca che non a caso si apre con una richiamo di Alberto Arbasino: “Nel nostro Paese solo gli scettici riescono a credere in qualcosa” e che prosegue con una battuta di John F. Kennedy: “Sono un idealista senza illusioni”.
Sì, senza illusioni: ma in tanti continuiamo a cercare, secondo l’autentica missione degli scettici… Come in questi giorni, quando ho finito di fare qualche riflessione su un sapido libretto del prof. Paolo Rossi intitolato “Speranze”, edito dal Mulino, e che propongo ai lettori di Mondoperaio.

Come possiamo preservarci dalla disperazione? Dobbiamo accontentarci – secondo l’antico magistero di Francesco Bacone - di speranze “ragionevoli”, un termine quest’ultimo che qui è sinonimo di “non garantite”. La via per rintracciarle parte dal buon uso di quella “saggezza politica che diffida per principio e prevede sempre il peggio nelle cose umane”. Ma questo – aggiunge Paolo Rossi - non vuol dire abbandonarsi alla disperazione.
Con piglio caustico l’autore rilegge per noi le profezie fasulle di chi prevedeva “il tramonto della nostra civiltà”, di chi sragionava attorno ad un “Medioevo prossimo venturo” per poi rituffarsi solo qualche anno dopo in un “Rinascimento prossimo venturo”, e giunge poi a ricordare il famoso “Rapporto” commissionato nel 1972 dal Club di Roma al blasonato Mit (Massachusetts Institute of Technology) il quale “informava lo sprovveduto e fiducioso lettore che saremmo rimasti senza petrolio nel 1992, senza mercurio e argento nel 1985, senza stagno nel 1987, senza zinco nel 1990, senza metano nel 1994, senza alluminio nel 2003. Nel 1993 eravamo già rimasti senza rame e senza piombo e da un bel pezzo avevamo finito oro e mercurio”!
Fare i pessimisti dà l’aria di essere più importanti, appare cosa più nobile e profonda. Così Max Weber poteva parlare di “una gelida, oscura e rigida notte polare” che attendeva l’umanità, mentre Nietzsche poteva bollare come patetica farsa qualsiasi segno di progresso. Di seguito Paolo Rossi affonda il coltello su una classe scientifica contemporanea che “con totale assenza di scrupoli, sembra molto più attenta a mantenere in piedi una fonte di finanziamento” piuttosto che a verificare “se il metodo di indagine sia corretto”: è così perché l’allarmismo e la predicazione di una imminente Apocalisse “pagano” di più e rendono popolari. Vediamo un esempio: forti cambiamenti climatici si susseguono sulla terra da alcuni milioni di anni; venendo ad epoche molto vicine si può ricordare che la Groenlandia solo agli inizi dell’anno 1.000 d.c. – fuori da qualsiasi invasivo intervento umano - era appunto Green Land, una terra verde poi ricopritasi di ghiaccio. Ecco perché quando si parla di “riscaldamento globale” non si può dar per certo che l’attività umana sia una delle più importanti cause del mutamento di clima. Se il contributo dell’uomo all’aumento della temperatura è probabile, “è invece difficile quantificarlo” e renderlo decisivo…
Tiriamo innanzi e torniamo al punto delle “speranze ragionevoli cioè non garantite”. L’autore con l’ausilio del magistero di Norberto Bobbio rammenta a noi tutti che la storia è un intreccio di bene e di male: “ non sarebbe ora di rinunciare alle grida di speranza o di disperazione dei profeti?” Di dire “no” ai profeti, a quei figuri dallo sguardo onnisciente che infestano le nostre vite con previsioni di mali estremi o di paradisi in terra?
E’ vero, dobbiamo anche guardarci dai profeti di “smisurate speranze”, da chi – affascinato dalle rivoluzioni pensa la Storia come un progressivo passaggio “dal regno della necessità al regno della libertà”, attraversando anche l’inferno - calpestando cioè dignità e tolleranza umane, considerate “debolezze borghesi”- pur di raggiungere l’agognato paradiso, che si svelerà poi un gulag senza fine (ma anche nella produzione letteraria sovente si spiega che “bisognerà essere terribilmente feroci per affermare il primato della dolcezza”!).
Come dobbiamo guardarci da ogni regime che abbia la pretesa totalitaria di “possedere la logica profonda della storia”. La convinzione di possedere “tutte le risposte è davvero mortalmente pericolosa perché non lascia alcuno spazio al futuro, rende immobile la vita intellettuale, cancella tutte le nuove domande, trasforma ogni divergenza in una colpa e ogni disaccordo in un pericolo da eliminare. Si può invece credere che le domande siano altrettanto importanti delle risposte, che la varietà delle opinioni appartenga al mondo della fisiologia e non a quello della patologia e che la molteplicità delle opinioni sia di conseguenza un bene da difendere e non un male da estirpare”. Chi vuole estirpare la “varietà delle opinioni” facendosi forte – come i nazisti – del motto “Gott mit uns” (già della casa reale di Prussia), si attribuisce una Missione di Salvezza propria di superuomini blasfemi.
E invece gli uomini, tutti gli uomini, sono esseri limitati. Non c’è mai stato – neanche prima del “peccato originale” della tradizione giudaico-cristiana – un uomo puro e innocente. Eravamo dei bestioni “tutto stupore e ferocia”, il diavolo – avrebbe detto Darwin – “sotto forma di babbuino è nostro nonno”. Non si spiega altrimenti come anche ai giorni nostri una incredibile quantità di persone di animo civile e gentile, catapultate all’interno di una guerra – quando non rischiano né castigo né biasimo - si trasformino in belve assassine.
Che fare? Dovremmo affidarci al magistero di Ludwik Fleck, secondo cui “la civiltà alla quale apparteniamo non è né un’unità indifferenziata né una totalità omogenea. In essa si sono svolte e si svolgono alienazioni e lotte per la libertà, cedimenti morali e combattimenti per la verità, conformismi e ribellioni, gesti inconsulti e pacate discussioni, mistificazioni e analisi lucide. In essa hanno trovato posto sia il colonialismo sia il relativismo culturale, sia il razzismo e i pogrom e la Shoa sia l’affermazione dell’equivalenza delle culture e del relativismo culturale. Dentro le società che l’Occidente ha costruito sono nati gli ideali della tolleranza e della limitazione alla violenza, si è anche affacciata – forse per la prima volta nella storia del mondo – l’idea che era necessario abbandonare l’opinione che i diversi da noi fossero semplicemente barbari, che era addirittura possibile (come fece Montesquieu nel 1721) tentare di guardarsi dal di fuori, far finta di essere persiani in visita a Parigi, che era addirittura possibile (come molti pensarono degli indigeni americani o dei cinesi) che gli altri potessero essere migliori di noi”. Insomma il cammino della storia “non segue una inflessibile legge causale” come avverte Robert Musil ne “L’uomo senza qualità” ma “somiglia piuttosto a quello di una nuvola, a quello di chi va bighellonando per le strade, e qui è sviato da un’ombra, là da un gruppo di persone o dallo spettacolo di una piazza barocca, e infine giunge in un luogo che non conosceva e dove non desiderava andare”. Dunque, come spiega Eugenio Montale nei suoi versi “La storia… detesta il poco a poco, non precede né recede, si sposta di binario e la sua direzione non è nell’orario”.
E’ l’improbabile che governa la nostra vita, ci spiega ora Nassim N. Taleb, docente di Scienze dell’incertezza alla University of Massachussetts che, nel suo illuminante libro “Il cigno nero” (2007) domanda: “Perché ci ostiniamo a pianificare il futuro in base alla nostra conoscenza quando le nostre vite vengono sempre modificate dall’ignoto?”. L’aveva già spiegato il premio Nobel Herbert Simon con la sua “teoria delle decisioni in condizioni di incertezza: la ragione umana non è uno strumento per prevedere e creare un potente modello generale che consideri tutte le varianti; piuttosto è uno strumento per esplorare pezzi del mondo o singoli problemi. Poniamo dunque un freno – come consiglia Karl Popper – alle facili illusioni o alle speranze eccessive.
Allora ripetiamo: che fare? Torniamo alla riflessioni di Fleck: nell’intreccio di bene e di male nel quale ci è concesso di vivere, non possiamo che oscillare tra la speranza e il timore e possiamo, per quanto concerne il futuro, solo avanzare ipotesi di breve periodo, con la consapevolezza che anch’esse sono abbastanza incerte.
E torniamo a Francesco Bacone, ad accontentarci di quelle speranze “ragionevoli in quanto non garantite” che “devono preservarci dalla disperazione”. Paolo Rossi ne elenca alcune. Parlando dell’Italia ricorda che all’inizio del 1900 morivano nel primo anno di vita 168 bambini ogni mille; nel 2000 si passa a 4,3 ogni 1.000 ! Dando uno sguardo sul mondo, con l’aiuto di Anthony Giddens, rileva che fra gli anni Settanta e il 2005 il numero di Stati democratici è triplicato; e il simbolo di tale esperienza è quello di un’antenna parabolica per la Tv satellitare: il desiderio di essere informati sembra configurarsi come una forza irresistibile.
Come per la democrazia, così per la pace: il termine “scoppiare” si può applicare non solo alla guerra, ma anche alla pace. Ci sono infatti dei “miracoli”, come la pace raggiunta in Irlanda del Nord. Ma anche qui la rinuncia alle illusioni è un punto decisivo, sul quale Umberto Eco ha scritto cose importanti: “se ci si rende conto che la pace è una difficile e ardua conquista e non qualcosa di raggiungibile coltivando buoni sentimenti, rimane una sola possibilità, quella di “lavorare per una pace a macchia di leopardo, creando ogni volta che si può situazioni pacifiche nella immensa periferia delle Paleoguerre che si susseguiranno ancora l’una dopo l’altra”. E Paolo Rossi continua suggerendo la necessità di smettere di sperare che miracolosamente cessino gli effetti di ciò che il cristianesimo ha chiamato peccato originale, Kant “il legno storto dell’umanità”, Freud pulsioni aggressive e distruttive, Edward O. Wilson aggressività animale. Bisogna imparare a diffidare di buonismo e perdonismo, a prendere le distanze dalle imperversanti forme di primitivismo, accettare che l’uomo - come concordemente affermarono sia Albert Einstein sia Sigmund Freud nel loro scambio di lettere sulla guerra – “ha entro di sé il piacere di odiare e di distruggere”.
Domandiamo ancora: che fare? Riandiamo alle parole di Primo Levi scritte in Appendice a “Se questo è un uomo”, alle quali possiamo collegare l’invocazione di Norberto Bobbio, citata in principio: “Poiché è difficile distinguere i profeti veri dai falsi, è bene avere in sospetto tutti i profeti; è meglio rinunciare alle verità rivelate, anche se ci esaltano per la loro semplicità e il loro splendore, anche se le troviamo comode perché si acquistano gratis. E’ meglio accontentarsi di altre verità più modeste e meno entusiasmanti, quelle che si conquistano faticosamente, a poco a poco e senza scorciatoie, con lo studio, la discussione e il ragionamento, e che possono essere verificate e dimostrate”.
E riandiamo a Freud che ne “L’avvenire di una illusione” fa con amara e accorata lucidità una difesa della ragione e della scienza, spiegando la sua preferenza per ragionevoli piccole speranze quotidiane rispetto ad un orizzonte dominato dalla Grande Speranza: “ Il nostro dio, che è il logos e la ragione forse non è molto potente e può realizzare solo una piccola parte di ciò che i suoi predecessori hanno promesso. Siamo disposti a riconoscere questo fatto, ad accettarlo con rassegnazione, e ciò non sarà sufficiente a spegnere il nostro interesse per il mondo e per la vita”. Agli occhi di Freud : 1) la scienza non ci dà e non ci può dare tutto ciò che vorremmo e che da sempre abbiamo voluto da un Dio: verità assolute e certezze indiscutibili; 2) dobbiamo accontentarci di un dio minore (chiamato logos o ragione) che non è né onnisciente, né onnipotente e può darci solo una piccola parte delle grandi promesse legate all’immagine del Dio onnisciente e onnipotente; 3) accettando quel dio minore, siamo anche pacatamente sicuri che il fallibile e limitato sapere che possiamo costruire non è illusorio”.
Quest’ultimo punto ci solleva un poco: ma non c’è aria di tripudio in questo. Paolo Rossi ci spiega che a differenza di positivisti, materialisti storici e materialisti dialettici, marxisti, anarchici, radicali, transumanisti, atei militanti di varia estrazione e natura, Freud aveva assolutamente chiaro un punto: l’ateismo non ha nulla di trionfalistico, ha a che fare con limiti e accettazione dei limiti, ha a che fare con una rinuncia, con l’abbandono della ben radicata Grande Speranza che è instillata da tutte le “religioni” incardinate su Chiese, Stati, Partiti… Invece chi non ha un Dio si è staccato dalle illusioni, riconosce la propria impotenza. Perché la visione del mondo che è stata di Lucrezio, Hobbes, Diderot, Leopardi, Darwin e Freud non ha davvero nulla di eccitante. Non ha quasi nulla a che fare né con il Ballo Excelsior né con il Sole dell’Avvenire. Non assomiglia per nulla alle ideologie che si sono richiamate a Marx o a Nietzsche teorizzando insieme imminente e possibile l’avvento di un “uomo nuovo” oppure di un “superuomo” o “oltreuomo”. Continua a spiegare Paolo Rossi: il titolo che Freud dette a quelle sue pagine (prospettando l’idea che l’illusione religiosa abbia un avvenire) fa emergere una domanda . Chi è irreligioso e trova sopportabile che ci siano solo ragionevoli speranze e che non ci sia invece alcun posto per una illusoria Grande Speranza non può non porsi una domanda: l’abbandono dell’illusione è davvero sopportabile “da tutti”? Quel dio minore, che è il logos e la ragione, che non è molto potente e può realizzare solo una piccola parte di ciò che i suoi predecessori – le Divinità onnipotenti e onniscienti – hanno promesso, può diventare il dio di tutti?
Giacomo Leopardi nel “Dialogo fra un venditore di almanacchi e un passeggero” risponde lasciando l’ultima parola al venditore di speranze per l’anno nuovo: questi conserva l’illusione che il caso incomincerà “a trattar bene voi e me e tutti gli altri e si principierà la vita felice”. Qui la pietà ha il sopravvento sul più duro realismo e c’è dimostrazione d’affetto per questo sprovveduto portatore d’illusioni. Sì, perché anche chi è scettico e realista sente dentro di sé l’angoscia per la caducità di tanti Grandi Speranze a cui tenderebbero le mani di tutti gli uomini di buona volontà: il bisogno di credere che il bene compiuto sulla terra non verrà perduto, che la ferocia sarà punita, che la presenza umana sulla terra fiorirà e rifiorirà nel tempo. “Anche coloro che pensano che questo non accadrà – conclude Rossi – vorrebbero che invece accadesse”.
Ecco allora che chi cerca di affrontare la vita ritenendo che la via migliore per non farci travolgere dall’angoscia sia quella di coltivare speranze solo sobrie e ragionevoli, ben comprenderà e concederà che altri abbiano il buon diritto di coltivare Grandi Speranze, per illusorie che siano.

P. Rossi, Speranze, il Mulino, 2008, Euro 9,00
G. Petroni, Il mondo è una prigione, Feltrinelli, 2005, Euro 7,00

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Su segnalazione di Matteo Salvetti riportiamo dal giornale "L'Altro" - diretto da Sansonetti - un commento dedicato al Consiglio nazionale PS di sabato 11 luglio 2009

I socialisti con SeL, guardando al Pd: Adelante ma con juicio

Il partito socialista è pronto a imbarcarsi sulla «nave corsara» di Sinistra e libertà scegliendone rotta, approdo e se è il caso anche qualche sosta. Ma deve fare i conti con i dissidenti che oppongono il loro niet all'accordo con Vendola e domandano con urgenza un nuovo congresso.
Il segretario Riccardo Nencini apre i lavori del consiglio nazionale di fronte ad una platea gremita di delegati e militanti. Appassionati, sì, ma anche un po' inquieti. Tra i piccoli petali del garofano, uno delle tante infiorescenze della diaspora socialista, il tormentato dibattito sul “che fare” è entrato nel clou. Per ora lo stelo pende a favore della confederazione con le altre forze di Sinistra e Libertà, ma pesano i malumori della componente craxiana (Bobo, si intende) orientata all'autonomia, e quelli dell'area più laicista interessata al contatto diretto con Marco Pannella. Senza considerare che c'è una porzione cospicua e trasversale del partito che guarda con curiosità a ciò che accade (o meglio, che accadrà) nel Pd. Nella sala “Annamaria” dell'hotel Universo, l'effige di Giacomo Brodolini, padre dello statuto dei lavoratori morto quarant'anni fa, veglia sui lavori. 42 iscritti a parlare, tre documenti da portare a votazione. «Se andiamo nel Pd ci uccidono – è la sintesi spietata di un delegato a microfoni spenti – prendiamo il treno di Sinistra e libertà, con la federazione non hai impegni, ti tieni sempre una scappatoia aperta...». Al suo fianco c'è Ugo Intini, che invece vede oltre: se il Pd dovesse coronare Bersani e liberarsi delle scorie “clericali” – ragiona lo storico esponente socialista – diverrebbe un partito socialdemocratico a tutti gli affetti. A quel punto, con Rutelli & C. fuori dai giochi, le cose cambierebbero. Lo sa Intini e lo sa anche Nencini, che nelle note conclusive della sua
relazione accenna proprio all'ipotesi di un'alleanza coi democratici: «Saliamo sulla nave corsara di Sinistra e Libertà che è in grado di tenerci in mare, ma cerchiamo di capire cosa succederà nel Pd alla fine dell'anno...».
Tanta carne al fuoco, per la dirigenza del Psi. Anche troppa, visto che il dibattito sulle geometrie variabili rischia di ingolfare la macchina del partito quando ormai è già ora di ripartire: le elezioni regionali sono alle porte – data probabile del voto: 25 marzo 2010 – e il garofano deve scegliere la strada migliore per la sopravvivenza e per un vitale rilancio. Nencini avverte che i tempi stringono e dunque arriva al sodo: «Ci saranno in molte regioni delle primarie di coalizione, a settembre saremo già in campagna elettorale. Servono decisioni certe e immediate». Il segretario ha interesse a non perdere pezzi per strada, garantisce che non scioglierà il partito e assicura che manterrà il filo diretto coi radicali.
Ma ribadisce senza esitazioni la linea già avallata dalla direzione: avanti con Sinistra e Libertà. Si ricomincia da lì, si ricomincia da tre, dal tre percento e rotti di voti incassati alle europee («risultato dignitoso e non da buttare») e dalla constatazione che alle amministrative la corsa solitaria dei socialisti ha dato scarsissimi frutti. Ecco perché Nencini mette a disposizione il suo impegno «politico e personale a non mollare». È consapevole del fatto che l'abbraccio con le altre tradizioni che animano Sinistra e libertà ha un prezzo da pagare, ma promette che lavorerà per dare alla coalizione un taglio riformista. «I richiami al berlinguerismo fanno solo ridere» dice il segretario interrotto dagli applausi. Tuttavia, di necessità virtù: «La nostra storia ha diritto di cittadinanza e ha senso solo se la teniamo legata ad un partito. Se la leghiamo alle Fondazioni si disperde:
venga qualcun altro a fare questa scelta, io non sono della partita».La chiosa polemica è indirizzata al vero antagonista presente in sala: Bobo Craxi.
Da qualche tempo il figlio di Bettino è in rotta con la segreteria e ha aperto anche un suo blog per rimarcare la forza del suo no. Un tintinnio di sciabole, dentro il Psi, neppure troppo mascherato: «La nostra sovranità politica è stata ceduta ad un soggetto che non ci rappresenta. È chiaro che questo è il problema che abbiamo con Nichi Vendola».
L'intervento di Craxi al consiglio nazionale è durissimo. Bobo denuncia lo smarrimento dello spirito di Montecatini, luogo dell'ultimo congresso socialista, e domanda a gran voce la celebrazione di un'assise straordinaria entro la fine dell'anno allo scopo di ridiscutere strategie e percorsi comuni: «Solo con un congresso – ha spiegato l'ex sottosegretario agli Esteri – capiremo meglio se proseguire l'alleanza con Sinistra a libertà e la scelta migliore da fare per noi. Se lo rifiuteranno si va verso una lenta dissoluzione del nostro partito ». Franco Bartolomei raccoglie la sollecitazione e si fa portavoce di una terza posizione: congresso prima delle regionali per costruire una nuova forza politica con gli alleati di Sinistra e Libertà. Ma la strada di fatto e già imboccata. E il congresso può aspettare.


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Sul quotidiano TRENTINO è stata pubblicata questa nota di Lorenzo Passerini

IL PD DIALOGHI CON LE FORZE RIFORMISTE E SOCIALISTE, NON CON I GIUSTIZIALISTI

L'irruzione di Grillo sulla scena congressuale del Pd deve essere sfruttata come un'opportunità per dare un'identità più chiara a questo partito. Serve però una risposta più netta di quella data dalla commissione di garanzia che gli ha negato la tessera con un vago “egli ispira e si riconosce in un movimento politico ostile al Pd”. La cultura di Grillo è da combattere. Il suo vaffa... ricorda infatti il fascistissimo motto “me ne frego”. Oggi il Pd è in difficoltà ad operare la necessaria offensiva culturale perché si trova ad affrontare il mostro politico che è stato creato dal centro sinistra della II Repubblica: il populismo giustizialista e girotondino. In questi anni infatti non ci è spesi abbastanza contro quella demagogia ed è per questo che Grillo può permettersi queste provocazioni. Franceschini, per fare l'esempio più recente, nel tentativo di frenare l'emorragia di voti ha fatto propri il linguaggio e i temi di battaglia dell'ex-Pm.

Alessandro Campi, docente di Storia del pensiero politico all'Università di Perugia, sul Riformista del 15 luglio ha osservato: “la sinistra “democratica” per anni ha sacrificato il proprio riformismo, in materia economica e istituzionale, alla denuncia del berlusconismo come vizio genetico della storia italiana (salvo adottarne lo stile comunicativo). Ha coltivato un'idea di sé elitaria e snobbistica, ha titillato la magistratura e diviso il Paese in “buoni” e “cattivi”. Più che contare sulla propria forza propositiva e su un'autentica capacità di innovazione politica, ha puntato tutte le sue carte sulla rovina dell'avversario, da ottenere con qualsiasi mezzo. Al momento di voltar pagina, per riprendere il filo interrotto di un coerente riformismo, si è però trovata a fare i conti con la sua antica immagine, ma deformata in modo parossistico, rappresentata per l'appunto da Di Pietro”.

Oggi Veltroni sembra aver capito gli errori del passato lontano e recente e, pentito per l'accordo che ha legittimato Di Pietro e lo ha messo al centro della scena politica, predilige “il rapporto con la formazione di Vendola, i socialisti di Nencini, i radicali” e considera Craxi “un innovatore in grado di capire la società”.
La strada indicata dall'ex-segretario è quella da intraprendere: il Pd infatti potrà porsi come alternativa di governo solo rompendo l'innaturale alleanza con l'Idv e dialogando con le forze liberali e socialiste presenti nel Paese.

Lorenzo Passerini




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