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VOLTAR GABBANA E' MEGLIO? di Nicola Zoller Chi cambia idea finisce spesso per essere più apprezzato di chi mantiene fede ai propri convincimenti. Lo si è visto anche in Italia in modo clamoroso con la fine della prima Repubblica. C’è il caso eclatante di Gianfranco Fini, che continua a stupire a ripetizione: da estimatore di Mussolini, da lui giudicato - non tanti anni or sono - “il più grande statista del secolo” è passato a considerare il fascismo come “male assoluto”. Su altro fronte c’è stato il caso altrettanto stupefacente di Veltroni, pronto a dichiarare di “non essere mai stato comunista”, dopo essere stato dapprima dirigente di primo piano della gioventù comunista, poi del Pci e infine direttore de l’Unità. Ora, forse il mutamento d’opinione politica - quando lo si reputa necessario - dovrebbe essere un processo più meditato e credibile, senza salti da un estremo all’altro. E comunque dovrebbe probabilmente esserci - come in tutte le meditazioni serie - un certo stile, l’assenza (o almeno la non prevalenza) di interessi personali o di carriera, e soprattutto il mantenimento di un po... Visualizza altro’ di rispetto per le idee professate in precedenza, dimostrando così di mantenere con queste almeno “i vincoli della decenza”. Altrimenti cosa possiamo aspettarci da chi rigetta con troppa baldanza le idee precedenti per seguire l’onda del nuovo momento? Cosa possiamo dire di lui? Che è un avventuriero, un ulteriore pericolo per la credibilità della politica? Pensando anche a questo, negli ultimi anni ho fatto un paio di ricerche intitolando la prima “Breviario di politica mite”, l’altra “La vita è scettica”. Naturalmente chi parte da posizioni “totalitarie” per approdare al campo democratico dovrebbe essere il benvenuto: ma possibile che, di lì a poco, a costoro sia consentito di assurgere addirittura al ruolo di nuove guide istituzionali e morali? (n.zoller@trentinoweb.it ) Franco de Battaglia - sotto il titolo "L'EFFETTO DEL TRASFORMISMO E L'OFFICINA DELL'AUTONOMIA" - commenta sul giornale "Trentino" del 18 giugno 2009 a p.10 l'intervento di Zoller "VOLTAR GABBANA E' MEGLIO?" Caro Zoller, il cambiare casacca di fronte agli eventi politici che mutano si chiama “trasformismo", e l’Italia è il paese che dopo l’Unità (1861) con Agostino Depretis ha codificato questa pratica. Le radici però sono antiche e non solo italiane: “Parigi val bene una messa” segnò la nascita dello stato francese e salvò non solo la Francia, ma l’intera Europa dal caos, quando Enrico IV, nel 1594, per diventare re, si convertì da protestante a cattolico. E sull’ 8 Settembre 1943 si potrà discutere quanto si vuole in merito al caos che ne seguì, ma non certo sull’opportunità di chiamarsi fuori dal gioco della crudele guerra nazista, ormai diventata pura follia suicida. Fedeltà? Onore? Non è proprio il caso di citare queste parole. A pareggiare l’Olocausto c’è stata solo la malvagità dei plotoni di SS che fucilavano i loro camerati e fratelli tedeschi perché a guerra totalmente perduta si arrendevan, cercando di salvare se stessi e la patria. Oppure impiccavano gli ufficiali che, nei Lager, lasciavano liberi i prigionieri, come si legge nel forte racconto “Un uomo buono” di Nino Betta, recentemente pubblicato a cura di Luciano Happacher per l’Editrice Panorama. La politica è l’arte del possibile, non è un’ideologia. Cambiare è necessario, gli ideali stanno altrove. Nel Trentino, ad esempio Lorenzo Dellai ha salvato l’autonomia col suo “trasformismo”. E’ partito dalla Sinistra Dc kessleriana, è passato nella Rete di Leoluca Orlando, ha fondato la Margherita facendone un riferimento nazionale, le ha tolto i petali (ed ora se ne pente) per avviare il Partito Democratico. Ma poi, rendendosi conto che il PD non può assolutamente correre da solo, gli ha affiancato il partito” territoriale”. Trasformismo? Certo. Ma anche acutezza politica. Dellai può essere criticato per il suo cinismo ambientale, per una visione di territorio parziale (è ciò che gli manca per diventare un vero statista dell’autonomia, ma ha avviato l’”Officina dell’Autonomia” proprio per supplire a certe carenze che egli stesso, evidentemente, avverte) ma non può certo essere contrastato sulle formule politiche. Allora il problema non è “cambiare idea”. Il punto è di “non cambiare” per galleggiare sui propri interessi personali, ma per promuovere un disegno utile alla comunità. Nessuno ha da vergognarsi del proprio passato, ma semmai dell’avidità che sente per il futuro. E’ questa la discriminante: non le vecchie appartenenze, ma i nuovi comportamenti. (FdB Diario del "Trentino"- 18 giugno 2009, p.10) torna in alto |