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La blogger che non piace a Cuba
20.5.09 data

La blogger che non piace a Cuba finisce nel mirino di Minà
Scritto da Pierluigi Battista
mercoledì 13 maggio 2009


Certo, non si poteva chiedere a Gianni Minà di intercedere presso le (sue) amatissime autorità cubane perché attenuassero la persecuzione della blogger cubana e dissidente Yoani Sánchez.
Ma addirittura attaccarla, denigrarla, screditarla: non è un inglorioso eccesso di zelo, quello di Minà? E come giudicare l’amico italiano del tiranno di Cuba, che a casa sua gode di ogni libertà e invece usa la penna per segnalare agli oppressori l’autrice di «Cuba libre» (tradotto da Rizzoli) che non potrà neanche venire a Torino per presentare il suo libro?
Lei, Yoani Sánchez, ha risposto a Minà, universalmente noto come l’intervistatore ufficiale e compiacente del dittatore, con una semplicità ammirevole: «Ecco le domande che non hai fatto a Fidel Castro che ora vuol toglierci anche Internet». Ma la blogger dissidente resterà delusa: quelle domande inevase l’intervistatore ufficiale non le farà mai. Non ha mai parlato degli scrittori cubani in galera e in esilio. Non ha mai parlato dei rapporti di Amnesty International che documentano l’assenza di ogni parvenza di libertà civile nell’isola della dinastia Castro. Non ha mai parlato del regime a partito unico, a giornale unico, a sindacato unico, a satrapia castrista unica. Ha descritto (come l’amico Michael Moore) le meraviglie della sanità cubana, con gli stessi toni con cui gli apologeti del fascismo lodavano i treni in orario e quelli dell’Urss l’efficienza del sistema scolastico sovietico. Si è visto dopo, come tutto fosse di cartapesta: pura, ingannevole propaganda di regime. Gianni Minà non parlerà per chiedere all’Avana la concessione del visto che consenta alla blogger di essere presente tra qualche giorno alla Fiera del libro di Torino e di raccontare (c’è scritto nel suo libro) come funzionano veramente le cose nella sanità cubana. Non lo farà, visto che ha già approfittato dell’occasione per bastonare la debole e fare un piacere ai forti, per mettere in difficoltà la donna in libertà limitata e favorire i suoi aguzzini. Sappia almeno, Yoani Sánchez, che in Italia non tutti si comportano come Minà. Quando a Torino interverrà telefonicamente potrà accorgersene: un applauso di solidarietà attenderà solo lei.
PIERLUIGI BATTISTA (Da: corriere.it)


Replica Minà
LA BLOGUERA CUBANA SCALZA, MA ALL'UNIVERSITA'

Dopo i dubbi che ho espresso sul mio sito alla campagna portata avanti da Yoani Sanchez, la bloguera cubana antisistema attualmente più “alla moda” e sponsorizzata dal gruppo Prisa, editore di El Pais, è abbastanza grottesco che Pierluigi Battista indichi proprio me come “un giornalista che, a casa sua, gode di ogni libertà e la usi impropriamente per segnalare i nemici della rivoluzione cubana”.
E’ grottesco perchè Yoani Sanchez ha, in questo momento, tutto il potere mediatico che vuole, e perchè Pigi Battista, che il potere dell’informazione lo pratica, sa perfettamente che da undici anni, e dopo quarant’anni di impegno, nella democrazia italiana mi è vietato il lavoro alla Rai, la TV di stato, senza che lui abbia speso mai una parola per questo sopruso.
Eppure Battista non ignora che io sono stato fra i pionieri di questa azienda per la quale, per quarant’anni, prima di essere epurato, ho realizzato reportages e documentari che ancora adesso, quando riproposti, vincono premi internazionali.
Oltretutto mentire, affermando che io abbia “attaccato”, “denigrato”, “screditato” la bloguera non è un atto che gli fa onore, non solo perchè io non l’ho fatto, ma perchè dimostra che Battista non ha letto l’articolo sul mio sito (www.giannimina.it) ma ha semplicemente fatto sue le versioni sul mio scritto dei “guardiani della controrivoluzione” dell’universo anticastrista, reazionario e violento, che svolge questo lavoro di esecrazione di Cuba dagli Stati uniti, dal Messico e dalla Spagna.
Una pratica che queste organizzazioni portano avanti ora con il “copia e incolla”, ma che è incominciata fin dal giorno successivo al trionfo della Revolucion.
Non mi spaventano certo nè i loro insulti, nè le loro minacce, che sono semmai la conferma dell’impotenza, della sconfitta di questi metodi, in un America latina che, oltre alla cancellazione dell’embargo, chiede all’unanimità di recuperare Cuba nell’Organizzazione degli stati americani e addirittura insiste per la sua conferma nel Consiglio per i diritti umani dell’Onu.
So che Battista non ha in grande simpatia questa nuova America latina progressista che, giorno dopo giorno, conquista diritti civili che, nella vecchia Europa e negli Stati uniti di Bush, si sono persi, ma se ne deve fare una ragione.
E’ difficile ed ipocrita, infatti, essere intransigenti con Cuba per le sue illiberalità (a volte vere, a volte costruite) se perfino il nuovo presidente degli Stati uniti Barack Obama, pur avendo immediatamente annullato la legge voluta dal suo predecessore Bush che autorizzava la tortura (e anche quella che aboliva l’Habeas corpus) è stato poi costretto a bloccare la pubblicazione, decisa da un tribunale, delle foto delle angherie e dei soprusi commessi nel carcere di Guantanamo e non solo.
Proprio per contraddizioni come queste, che non hanno fatto insorgere Pigi Battista come per il visto non concesso alla bloguera Yoani Sanchez, Obama recentemetne è stato costretto a dichiarare: “L’impatto della presenza di settantamila medici cubani in America latina e nel sud del mondo è stato più efficace delle politiche portata avanti in questi anni nei riguardi di Cuba dai governi di Washington”.
Senza contare che, proprio in questi giorni, nonostante questa presa di coscienza del presidente, l’America di Obama ha negato il visto al grande cantautore cubano Silvio Rodriguez, invitato insieme a Bruce Springsteen e ad altri colleghi al Madison Square Garden di New York per la festa dei novat’anni di Pete Seeger, compagno di lotte del leggendario Woody Guthrie, senza che Battista o qualcuno della Fiera del libro abbia sentito il bisogno di protestare.
Sugli scritti di Yoani Sanchez io, nel mio piccolo sito, ho espresso solo misurati dubbi sul fatto che, insieme alle denuncie delle carenze della società del suo paese, non ricordasse anche i meriti che tutti gli organismi internazionali, dall’Onu, all’Unicef, alla Fao, all’Organizzazione mondiale della sanità e perfino ad Amnesty International, che spesso stigmatizza le chiusure della Revolucion, gli riconoscono.
Ignorarli rende meno credibile la sua testimonianza e la costruzione mediatica che è stata fatta intorno a lei.
Yoani Sanchez, tra l’altro, mi ha fatto sapere che quando il mio libro di intervista a Fidel nell’87 era nelle librerie de L’Avana, lei andava all’Università scalza per le ristrettezze economiche che Cuba aveva all’epoca.
Purtroppo ha dimenticato di dire che quelli erano gli anni del periodo especial in cui il suo paese dovette sopportare due embarghi, quello storico e iniquo degli Stati uniti e quello conseguente al crollo dei paesi comunisti dell’Est europeo.
Inoltre vorrei ricordare a Yoani che era allora scalza ma andava all’Università. Se fosse stata una giovane di qualunque altro paese latinoamericano dell’epoca, ostaggio dell’economia neoliberale, magari sarebbe stata invece una ragazza di una violenta favela di Rio o di una inumana villa miseria di Lima o Città del Messico o, magari, avrebbe sniffato colla per vincere i morsi della fame, come hanno fatto e fanno ancora milioni di giovani nel continente.
Il mondo, si sa, ha un significato o un altro a seconda del punto di vista dal quale lo guardi.
Così mi auguro che a Torino, alla Fiera del libro, oltre ad applaudire la telefonata di Yoani, il pubblico sia andato al Museo della resistenza, alla presentazione di Memoria del buio, lettere e diari delle donne argentine imprigionate durante la dittatura. Una testimonianza di resistenza collettiva, o abbia sentito il bisogno di riempire la sala dove è stato proposto Carte false, l’ennesima opera (a cura di Roberto Scardova) sull’assassinio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, impunito da quindici anni per le connivenze di pezzi del nostro apparato dello stato con il traffico internazionale d’armi e rifiuti tossici, pezzi ancora attivi nella struttura del potere del nostro paese.
Le donne argentine e Ilaria Alpi forse non avranno avuto la rilevanza mediatica della bloguera cubana, ma giuro che l’avrebbero meritata.





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