|
dal Corriere del Trentino 24/02/09 (e dal Trentino del 27/02/09) L'ennesimo fallimento dei (post) comunisti Dopo l'ennesima sconfitta, non mancano le discussioni sulla crisi del Pd. Scarseggiano però le analisi delle sue radici profonde. Non da ora l'Italia è un'anomalia nel panorama europeo: negli altri Paesi dell'Europa occidentale la forza principale della sinistra è sempre stata il partito socialista, mentre in Italia lo era il partito comunista. L'URSS, che finanziò illegalmente il PCI per decenni - reati amnistiati nel 1989 - aveva negato la libertà ai propri cittadini e a quelli dei Paesi satelliti. Lech Walesa rivolgendosi a Craxi dichiarò pubblicamente: "Valeva la pena lottare perché ci sono uomini come Lei ancora nel mondo". Tanto fece infatti lo PSI di Craxi per i socialisti di quei Paesi, come per i socialisti – cileni, argentini e spagnoli – oppressi da dittature di destra e per i palestinesi. Tanto fece in termini di sostegno morale e finanziario. È questa la vera questione morale: c'è infatti un abisso di moralità tra chi prende denaro da una potenza totalitaria e chi finanzia i movimenti che a essa si oppongono. La caduta del muro di Berlino avrebbe dovuto far finalmente prevalere la sinistra socialista. La stagione giustizialista deviò però il corso della storia, trasformando gli sconfitti in vincitori. L'esistenza del finanziamento illecito era largamente conosciuta ed accettata. I partiti presentavano ogni anno i loro bilanci - palesemente falsi - alla Presidenza della Camera, che li avvallava senza muovere la minima obiezione. Quando si cancella in quel modo più di metà della rappresentanza politica del Paese inevitabilmente si finisce nelle mani di avventurieri. Una frase nel libro - intervista "D'Alema. La prima biografia del segretario del PDS" è davvero illuminante: "Dovevamo cambiare nome e non avevamo alternative. Eravamo come una grande nazione indiana chiusa tra le montagne, con una sola via d'uscita, e li c'era Craxi con la sua proposta di unità socialista. Come uscire da quel canyon? Craxi aveva un indubbio vantaggio su di noi: era il capo dei socialisti in un Paese europeo occidentale. (…) L'unità socialista era una grande idea, ma senza Craxi. Allora avevamo una sola scelta: diventare noi il partito socialista in Italia". Non ci sono riusciti. Il naturale riferimento di un partito riformista è l'elettorato socialista, liberale e cattolico-liberale. Mentre Veltroni, coerentemente con la sua storia, in occasione delle ultime elezioni politiche ai socialisti ha preferito Di Pietro. Quando ci si dichiara socialisti o riformisti, o si fa riferimento alla propria storia o - se si vuole alludere a quella di altri - si dovrebbe abbondare in spiegazioni, fare chiarezza sui propri errori. A maggior ragione se questi "altri" si sono combattuti per decenni. Il PD più che un partito riformista è quindi la riproposizione del vecchio compromesso storico: un accordo tra comunisti e democristiani che marginalizza i socialisti. Tornano alla mente le parole di Craxi dall'esilio: "Se qualcuno dovrà ricostruire la sinistra, questi non saranno certo loro". Lorenzo Passerini Risposta del Direttore: Caro Passerini, la sua ricostruzione storica è lacunosa, visto che il Pci non era l’unico partito a ricevere fondi dall’estero. In ogni modo, gli ex comunisti hanno ammesso i propri errori, mentre mi pare che i fan di Craxi insistano a non guardare in faccia la realtà. Il Partito socialista ha scritto pagine nobili e importanti della vita italiana, ha avuto uomini integerrimi, ma poi è stato uno dei pilastri della crescita abnorme della corruzione. Gli sbagli di altri partiti e gli eccessi da parte della magistratura che pure ci sono stati in Tangentopoli non possono cancellare il fatto che molti alti dirigenti del Psi hanno preteso mazzette per costruirsi fortune personali: è stata questa ingordigia a distruggere il Psi, non i giudici e neppure i comunisti. Enrico Franco Replica: Signor Direttore, chiedo gentilmente di poter replicare alle Sue osservazioni alla mia lettera pubblicata dal Corriere del Trentino il 24 febbraio 2008, con il titolo “La profonda crisi del Pd e la nostalgia di Craxi” ---------------- Se c’è una cosa che comunisti o ex-comunisti non hanno mai ammesso è quella di essere “uguali” agli altri. Loro si sono sempre ritenuti depositari di una moralità superiore: altro che “ammissione – come lei assai lacunosamente scrive - dei propri errori”, compresi magari quelli di essersi finanziati illegalmente coi soldi che grondavano di sangue, provenienti dal dispotico regime sovietico. “L’oro di Mosca”, libro di Gianni Cervetti, ex tesoriere del Pci, testimonia invece (in controtendenza alle versioni ufficiali degli ex comunisti) che il flusso dei soldi putridi è continuato fino alla fine del Pci nel 1989, e quindi anche durante l’epoca del promotore della famosa “questione morale”, Enrico Berlinguer! Ma quale morale, dunque? Invece lei Direttore – che prova a difendere questo Pci – infierisce contro il Psi di Craxi, incassatore di tangenti “per costruirsi fortune personali”. Eppure un protagonista senza sospetto di “Mani pulite”, come l’ex viceprocuratore di Milano Gerardo D’Ambrosio, in una puntuale dichiarazione del 22 febbraio 1996 ha detto: “La molla di Craxi non era l’arricchimento personale, ma la politica”. Chiaro, dott. Franco? Perché allora si continua con l’infangare la memoria del dirigente socialista, l’unico peraltro a denunciare in Parlamento il finanziamento illecito della politica tra il silenzio – da sepolcri imbiancati – di tutti gli altri? C’è anche un aneddoto simpatico raccontato dalla cronaca roveretana del giornale “l’Adige” del 24 febbraio 2000, appena dopo la morte di Craxi. Si legge a pg. 17, sotto il titoletto “Nella villa di Hammamet niente rubinetti d’oro ma tre opere di Depero”: “In pieno stile italico si scopre, ora che è morto, che la villa di Hammamet di Bettino Craxi non è nella realtà la dimora da satrapo orientale che veniva descritta coralmente dalla stampa - anche da quella che oggi lo descrive come una sorta di martire – negli anni caldi di Tangentopoli. Ieri l’inviato del Corriere della Sera ha descritto in un articolo piuttosto corposo la casa dell’ex leader del Psi come una villa tutto sommato modesta, come lui stesso ha scritto, ben al di sotto degli standard di quelle di tanti professionisti di provincia che la magione ce l’hanno sulle coste più esclusive di casa nostra… Il giornalista ha scoperto che nella villa di 250 metri non ci sono rubinetti d’oro, che la piscina non è ‘esattamente olimpionica’ e che tra le non molte cose che danno un tocco di ricchezza alla casa ci sono soprattutto tre Depero, oltre ad alcuni, deliziosi dice il cronista, Boccioni e alla spada di Nino Bixio. Il segno della passione di Craxi per il Futurismo oltre a quella nota per Garibaldi”. Signor Direttore, che i quadri di Depero siano stati pagati a peso d’oro o siano stati frutto di tangenti miliardarie o peggio trafugati? In conclusione, credo che con l’atteggiamento da moralizzatori anticraxiani di tanti opinion leaders italiani, non si faccia altro che alimentare il rigetto popolare verso una sinistra che si reputa fariseicamente “pulita” e “superiore”. Ecco perché molti italiani, anche di sinistra, finiscono – “turandosi il naso” - per preferire Berlusconi; e noi che continuiamo a votare per il centro-sinistra ci troviamo molto a disagio. Ha scritto Sergio Romano, uno fra gli storici più equilibrati, nel suo libro “Finis Italiae” del 1995: “Intravedo all’orizzonte un’altra menzogna: gli italiani stanno addebitando Tangentopoli a Bettino Craxi e a qualche centinaio di uomini politici, imprenditori, funzionari. Sanno che è una bugia, ma cederanno probabilmente alla tentazione di credervi per assolversi in tal modo da questo peccato. E dopo, temo, avranno un’altra ragione per disprezzarsi”. Probabilmente per non disprezzarsi del tutto hanno cominciato (e continuato) a votare per il male minore, disgustati dai rivendicatori di “purezze” inesistenti. Ammoniva Emilio Lussu, uno degli uomini più schietti della sinistra italiana d’altri tempi: “Il vero peccato non è commettere una infrazione alle leggi di nostro Signore, ché tutti siamo dei deboli mortali, ma fingere di essere virtuosi e agire da imbroglioni”. Lorenzo Passerini torna in alto |