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C'è un problema di moralizzazione della vita pubblica che deve essere affrontato con serietà e con rigore, senza infingimenti, ipocrisie, ingiustizie, processi sommari e grida spagnolesche (B.Craxi, Milano, 24 febbraio 1934 – Hammamet, 19 gennaio 2000) Nell’attuale dibattito politico ed in particolare nell’analisi dello stato della sinistra raramente si propone una lettura approfondita del passato recente, vuoi per ignoranza, vuoi per ragioni di opportunità. Penso invece sia fondamentale conoscere e meditare la storia per comprendere il presente ed evitare la ripetizione di errori già commessi. Althusser, filosofo francese vissuto nel secolo scorso, scriveva: “Le cause di un errore durano fino a che non sono state affrontate e trasformate (…) Come è possibile andare alla radice degli errori senza una ricognizione storiografica non vincolata dall’obbligo di mantenere una immagine edificante della propria tradizione?”. Ecco perché è necessario far luce sulla distruzione dei partiti storici della democrazia italiana, partiti, che, a differenza di quelli che oggi dominano la scena, avevano dei corrispettivi in Europa. L’esistenza del finanziamento illecito era largamente conosciuta ed accettata. I partiti presentavano ogni anno i loro bilanci, palesemente falsi, alla Presidenza della Camera, che gli avvallava senza muovere la minima obiezione. Scrive Peppino Caldarola, ex deputato DS, sul Riformista del 16 dicembre 2008: “il voto socialista si è disperso, in gran parte è finito a destra, molti leader socialisti sono a destra, qualcuno minaccia di andarci ora, (…) l’adesione del Pd al socialismo europeo provocherebbe una scissione degli ex democristiani. Stiamo parlando di cose vive, non di fatti e sentimenti di un secolo fa. Per molti ex socialisti il nodo da sciogliere è il giudizio su Craxi. L’anatema contro la sinistra socialista è l’ingombro maggiore tra la famiglia socialista dispersa e il resto della sinistra”. Craxi fu l’unico a cercare una soluzione politica a quello che restava (e resta) un problema politico. Affermò infatti il 3 luglio ’92 in un celebre intervento alla Camera: “I partiti hanno ricorso e ricorrono all’uso di risorse aggiuntive in forma irregolare od illegale. (…) Non credo ci sia nessuno in quest’Aula, responsabile politico di organizzazioni importanti, che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo: presto o tardi i fatti si incaricherebbero di dichiararlo spergiuro.” Ma nessuno si alzò, nessuno ebbe il coraggio di aggiungere una parola al discorso di Craxi. Il PCI-PDS preferì cavalcare la tigre giustizialista e non accettare la proposta di Unità socialista di Craxi, anche se Craxi era stato determinante per l’accettazione del PDS nell’Internazionale socialista. Nel libro - intervista “D’Alema. La prima biografia del segretario del PDS” una dichiarazione è davvero illuminante: “Dovevamo cambiare nome e non avevamo alternative. Eravamo come una grande nazione indiana chiusa tra le montagne, con una sola via d’uscita, e li c’era Craxi con la sua proposta di unità socialista. Come uscire da quel canyon? Craxi aveva un indubbio vantaggio su di noi: era il capo dei socialisti in un Paese europeo occidentale. Quindi rappresentava lui la sinistra giusta per l’Italia (…) L’unità socialista era una grande idea, ma senza Craxi. Allora avevamo una sola scelta: diventare noi il partito socialista in Italia”. Non ci sono riusciti. Un partito riformista non è un qualsiasi partito democratico. Quando ci si dichiara socialisti o riformisti o si fa riferimento alla propria storia o, se si vuole alludere a quella di altri, si dovrebbe abbondare in spiegazioni, fare chiarezza sui propri errori. A maggior ragione se questi “altri” si sono combattuti per decenni. Il naturale riferimento di un partito riformista è l’elettorato laico, socialista, liberale, libertario e cattolico liberale. Mentre Veltroni, coerentemente con la sua storia, nelle ultime elezioni politiche ai socialisti ha preferito Di Pietro. Ricorda il professor Massimo Teodori in “Storia dei laici”: “La bufera di Tangentopoli travolse nei primi anni novanta l’intero sistema politico, in particolare i partiti laici e socialisti. Fu presto evidente che l’intera dirigenza laica era stata annientata, a cominciare dal gruppo socialista che, con Craxi, aveva tentato di allargare il cuneo riformatore tra la balena democristiana e il colosso comunista. Forse, fu proprio questa la ragione per cui l’alleanza giacobina-giustizialista tra le correnti “democratiche” della Magistratura e i settori illiberali del Partito Comunista si accanì sugli esponenti socialisti che, certo, erano portatori di vizi partitocratrici, ma non più gravi di quelli delle altre forze politiche, comunisti compresi. Con l’annientamento dei socialisti svanì anche l’ultimo, e più consistente, tentativo di dare alla democrazia italiana una forza riformatrice di indirizzo europeo, non subordinata ai democristiani e ai comunisti.” La caduta del regime sovietico ha decretato la sconfitta dei comunisti e il trionfo degli ideali socialisti, liberali, riformisti che avevano animato lo PSI. L’URSS, che finanziò illegalmente per decenni il PCI - reati amnistiati nel 1989 - aveva negato la libertà ai propri cittadini e a quelli dei Paesi satelliti. Walesa, fondatore di Solidarnosc, rivolgendosi a Craxi dichiarò pubblicamente: “Valeva la pena lottare perché ci sono uomini come Lei ancora nel mondo”. Tanto fece infatti lo PSI di Craxi per i socialisti di quei Paesi, come per i socialisti – cileni, argentini e spagnoli – oppressi da dittature di destra e per i palestinesi. Tanto fece in termini di sostegno morale e finanziario. È questa la vera questione morale: c’è infatti un abisso di moralità tra chi prende denaro da una potenza totalitaria e chi finanzia i movimenti che a essa si oppongono. Craxi ha lasciato un patrimonio di idee e di azioni conseguenti che è ancora valido e seguito nei paesi dell’Occidente sviluppato. Craxi ha intuito il valore sociale della libertà: più l’individuo ha libertà, più è in grado di produrre ricchezza e civiltà. Ha capito che con il “Welfare State” i lavoratori hanno conquistato la protezione dello Stato e tutte le libertà collettive e che un ulteriore sforzo è da indirizzarsi verso l’ampliamento di libertà individuali (“meriti e bisogni” furono le parole d’ordine della Conferenza programmatica di Rimini del 1982). Di qui la necessità di innestare elementi di liberalismo sulle radici riformiste, il “ricollegarsi a tradizioni più antiche e a culture un tempo disprezzate fondate sulla congiunzione dei valori liberali, socialisti e cristiani” (Conferenza Programmatica, Rimini, 22-25 marzo 1990). Durante il dramma di Aldo Moro la difesa della persona diventa un caposaldo della politica socialista. Nei primi anni ’80 di fronte alla necessità di riformare la scala mobile (scelta risultata vincente perché permise di contenere l’inflazione e di conservare quindi il potere d’acquisto dei salari) il socialismo riformista non ebbe timore dell’opposizione del PCI, al quale fino ad allora era stato concesso il diritto di veto sulle politiche sociali. Anche Fassino riconosce le innovazioni introdotte da Craxi, scrive infatti in “Per passione”: “Craxi è uomo profondamente di sinistra. Autonomista, anche all’epoca del Fronte popolare, ha uno spiccato senso dell’identità socialista rispetto all’area maggioritaria della sinistra italiana, quella comunista. Certo, Craxi non esita a fare della competizione a sinistra, puntando ad accrescere le difficoltà del Pci, inducendoci a reagire nel modo peggiore, con un più alto livello di conflittualità. Ma resta il fatto che il Pci non appare capace, negli anni ’80, di affrontare il tema della modernizzazione dell’Italia, spingendo così ceti innovativi e produttivi verso chi, come Craxi, dimostra di comprenderli”. Quei ceti innovativi e produttivi che in questi dieci anni, assieme alla diaspora socialista, sono risultati determinanti per i successi elettorali di Berlusconi, anche se settori importanti del centro-destra devono la loro fortuna politica alla “rivoluzione giustizialista”. Questa sinistra riuscirà a proporsi come alternativa credibile di governo per l’Italia solo riconoscendo il ruolo fondamentale della tradizione socialista-liberale e solo ristabilendo la verità sulla fine del PSI e di Craxi, un uomo che fu costretto all’esilio. Esilio che considerò morte, perché, come sta inciso sulla sua lapide, “la mia libertà equivale alla mia vita”. LORENZO PASSERINI, studente universitario di Economia- Trento torna in alto |