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CORAGGIO LAICO
10 Maggio 2007

n.zoller@trentinoweb.it
INFO SOCIALISTA 10 Maggio 2007
a cura della segreteria regionale SDI, per i rapporti con l'azione nazionale dei
socialisti e del centro sinistra
tel. 338-2422592 - fax 0461-944880
Trento/Bolzano: www.socialistitrentini.it - www.socialisti.bz.it
Quindicinale - Anno 4°
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SOMMARIO:

o UN LIBRO, per cominciare: Carlo Augusto Viano, Laici in ginocchio
o CORAGGIO LAICO Manifestazione del 12 maggio a Roma in Piazza Navona –
L’invito di Enrico Boselli
o LA RIVOLUZIONE CULTURALE DEL 12 MAGGIO

o LA BATTAGLIA BELLA E IMPOSSIBILE DI SÉGOLÈNE



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UN LIBRO, per cominciare ("Tutte le cose del mondo conducono a una citazione o a un libro" Jorge L. Borges)

o Autore: Carlo Augusto Viano
o Titolo: Laici in ginocchio
o Saggi Tascabili Laterza, Roma-Bari, 2006, pp. 136, € 10,00


Argomento del libro di Carlo Augusto Viano, storico della filosofia, è la
preoccupante «accettazione dei modi di pensare tributari delle credenze religiose, la
mancanza di attrezzature mentali adatte a resistere alle pretese delle Chiese; la
cagionevolezza di quella che pretende di presentarsi come “cultura laica”». La sua
tesi è che «alle fedi religiose si deve garantire la libertà, ma non si deve
tributare un rispetto che impedisca la critica e il rifiuto delle imposture».
Un esempio di tale condizione di minorità delle istituzioni italiane è dato dagli
incontri tra Benedetto XVI e l’ex Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi:
se in Vaticano il papa fece fare anticamera Ciampi, nella visita che il pontefice
fece in Quirinale egli si mostrò «altezzoso, un papa che veniva a fare l’inventario
dei beni sottratti ai pontefici romani e che, forte del bene che i cattolici avevano
fatto all’Italia, presentava il conto». Non vi è stato alcun equilibrio in questo
rapporto, nonostante l’orgogliosa rivendicazione del valore della laicità da parte
del Presidente: «Benedetto XVI è arrivato con la calma del generale vincitore, che
visita il campo di battaglia il giorno dopo, mentre Ciampi aveva l’orgoglio misurato
dei vinti». Come siamo potuti arrivare a questo?
Per ballare il tango bisogna essere due, ed è quindi evidente che la strategia
neo-confessionalista portata avanti dalle gerarchie ecclesiastiche negli ultimi anni
non ha trovato resistenza da parte del ceto politico. Anzi. La riflessione più
interessante del libro si svolge proprio intorno alla pretesa d’Oltretevere di essere
i depositarî di un codice morale unico, da imporre a tutti i cittadini, credenti e
non, «presentando come certezze oggettive ciò che invece è sostenuto soltanto da
credenze arbitrarie». Ovviamente, una simile pretesa costituisce una ferita
insanabile al concetto di laicità dello Stato, nonostante i tentativi di cosmesi
semantica operati in ambito clericale sui concetti di “laicità” e “laicismo”.
Atteggiamento ancora meno tollerabile, a detta dell’autore, se si pensa all’ostinato
rifiuto cattolico della modernità, che si traduce in avversione verso la scienza, in
una scarsa qualità della scuola privata confessionale, in un pericoloso atteggiamento
di superiorità nei confronti delle altre comunità presenti sul territorio, in
un’esaltazione fuori luogo del volontariato, spesso usato «per catturare adepti»,
pretendere finanziamenti e occupare spazî pubblici. La storia, anche recente, della
Chiesa non dovrebbe peraltro autorizzare a crearsi troppe illusioni. Come ricorda
Viano, giudicando l’opera di Giovanni Paolo II: «richieste di perdono tante, senza
nessun impegno a non commettere di nuovo gli stessi errori». E silenzio, ad esempio,
e a ogni livello, sul coinvolgimento in Tangentopoli del partito cattolico.
Dall’altra parte, però, cosa troviamo? Che il potere politico abbia spesso avuto la
tendenza a utilizzare la religione come instrumentum regni è un dato storico. Lo è
anche il fatto che spesso, anziché usarla, ne è rimasto usato. Il ceto politico
attuale ne è un ottimo esempio. Anche Viano prende di mira il trasformismo di Pera e
certe avventate uscite di Fassino e Bertinotti, aggiungendo di suo una reiterata
critica alla teoria e alla prassi di Giuliano Amato. Il quadro dipinto è desolante:
«dopo la fine del regime democristiano i preti sono intervenuti direttamente, senza
poter o dover nascondersi dietro un partito: anzi, i partiti hanno dovuto andare in
cerca dell’appoggio dei preti […] Tutti si sono sentiti obbligati a prendere
posizione e hanno dovuto rendersi conto che l’appoggio della Chiesa va pagato. Si è
subito capito» – commenta sarcasticamente l’autore – «che c’erano personaggi pronti a
pagare, a destra come a sinistra».
Il saggio si chiude con un auspicio: «una cultura che voglia tener viva la
prospettiva di una società laica non dovrebbe farsi ingannare da tutto ciò e dovrebbe
imparare a diffidare delle esortazioni di filosofi e preti, che cercano di togliere
la capacità di vedere le cose inducendo a tener d’occhio i valori». Il doppio uso del
condizionale (corsivo mio) è purtroppo d’obbligo.

Raffaele Carcano

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Manifestazione del 12 maggio a Roma in Piazza Navona –
L’invito di Enrico Boselli
CORAGGIO LAICO

Il 12 Maggio 2007 – in occasione del 33mo anniversario della vittoria riportata
dal popolo italiano con il referendum che respinse la richiesta di abrogare la legge
Fortuna Baslini istitutiva del divorzio e in concomitanza del cosiddetto "Family
day" - ti invito a partecipare alla manifestazione “Coraggio Laico” - che mi
auguro possa allargarsi alle grandi organizzazioni e personalità laiche del Paese
oltre a quelle che ad oggi hanno già comunicato la loro adesione di cui ti allego i
nominativi.
La manifestazione-concerto si terrà il 12 maggio a partire dalle ore 15.30 a Piazza
Navona a Roma.
Noi socialisti stiamo conducendo una difficile battaglia affinché finalmente si
affermi, anche in Italia, la laicità di uno Stato che non discrimina, non esclude,
non penalizza ma consente a tutti di scegliere ed organizzare la propria vita.
Coloro che si ritroveranno a piazza San Giovanni altri non sono che gli eredi degli
sconfitti del 1974, mobilitati, grazie ad un clima da Controriforma ispirato dalla
CEI e dalle gerarchie Vaticane, allo scopo di ottenere una rivincita sulla concezione
laica, riformista e liberale del nostro Paese che, da sempre, vede i socialisti
protagonisti principali .
Ti rivolgo dunque un invito alla partecipazione e alla mobilitazione. Ancora una
volta, noi socialisti dobbiamo essere , in un importante appuntamento come questo,
attori principali, forti dei valori della laicità e della tolleranza che sono tra i
lasciti più importanti che ereditiamo dalla nostra storia ultracentenaria
Per ulteriori informazioni ti invito a visitare il sito http://www.sdionline.it e/o
scrivere a 12maggio@sdionline.it

Fraternamente
Enrico Boselli

LA RIVOLUZIONE CULTURALE DEL 12 MAGGIO

• da Il Riformista del 7 maggio 2007, pag. 7
di Diego Galli

Il 12 maggio è una ricorrenza importante per le famiglie italiane. Si tratta
dell'anniversario del referendum sul divorzio, giorno in cui gli italiani sancirono
con il loro voto il principio per cui a fonda­mento della famiglia doveva esserci
una libera scelta di amore e non un'imposizione di legge. La famiglia cessava allora
di rappresentare per lo stato un interesse superiore a quello degli individui che la
compongono. A quella vit­toria laica contribuirono in modo determinante milioni di
elettori cattolici, senza il cui voto, espresso in contrasto con le indicazioni del
Vaticano, non sarebbe stato possibile raggiungere la maggioranza favorevole al
divorzio.
L'approvazione referendaria del divorzio nel 1974 provocò altre conquiste civili
che determinarono in pochi anni una vera e propria ri­voluzione politica, culturale e
sociale. La riforma del diritto di fa­miglia, che sanciva finalmente l'eguaglianza
giuridica tra i coniugi, fu approvata dal parlamento l'an­no successivo, nel 1975. Nel
1978 il Parlamento depenalizzava l'interruzione volontaria di gravidanza sotto la
spinta delle disobbedienze civili e del referendum promosso dai radicali. Sempre in
quegli anni, mutavano profondamente i comportamenti riproduttivi degli italiani.
L'affermarsi della maternità e paternità responsabile si manifestò in modo evidente
con il calo delle nascite, che proprio nell'anno del referendum sul divorzio subì
un'accelerazione epocale.
Quella stagione di grandi conquiste civili e sociali ha contribuito a determinare
anche nel nostro paese mutamenti profondi nei costumi e nella mentalità. Una delle
più grandi conquiste dei movimenti di liberazione sessuale e femminile è stata la
scissione tra sessualità e riproduzione. La famiglia oggi non è più fondata sulla
riproduzione, a prescindere dal riconoscimento o meno delle unioni omosessuali. Dal
1975 ad oggi si è passati da 2,4 a 1,2 figli per donna, dato che rende l'Italia il
Paese con il più basso tasso di natalità al mondo. La dimensione media della
famiglia è scesa da 3,35 a 2,6 componenti. Il risultato è che soltanto il 43%
della famiglie italiane è rappresentato oggi da genitori con figli.
La bassa natalità non rappresenta di per sé un segno di progresso sociale. In
Italia, anzi, è uno dei segni più evidenti dell'incertezza economica in cui vivono
milioni di persone, dell'assenza di adeguati servizi sociali e di una ancora non
conquistata parità tra uomo e donna nella conduzione della vita familiare e nella
partecipazione al lavoro. Tuttavia, è anche il segnale più evidente della
trasformazione antropologica subita dalla famiglia, la quale non trova più
fondamento nella necessità biologica della riproduzione, ma nella qualità delle
relazioni affettive e nella condivisione dell'intimità. La stessa etimologia della
parola famiglia, dall'italico famel, che significa "casa", rimanda a una
dimensione relazione e non biologica o riproduttiva: la casa, il luogo dove stare,
dove convivere.
La famiglia considerata come naturale, quella eterosessuale, mononucleare, con
figli, rappresenta soltanto una delle forme assunte dalla famiglia nella storia
dell'umanità, e oggi nella società contemporanea. Il concetto di famiglia naturale
disconosce le conquiste affettive di milioni di persone, e rischia di racchiudere
anche la realtà della famiglia tradizionale, e delle sfide che deve affrontare
quotidianamente, negli stretti confini di una scontata normalità. Il riconoscimento
delle unioni civili rappresenta un provvedimento che porterebbe a compimento la
rivoluzione culturale avviata con l'approvazione del divorzio. Ma si tratta
soprattutto di un provvedimento a favore della coesione della società. Nel momento in
cui consentiamo di regolamentare legami, infatti, consentiamo alle persone di
assumersi responsabilità, in particolare responsabi­lità degli altri.
Dobbiamo affermare con forza il principio per cui occorre che le famiglie si
fondino sempre più non su una definizione astratta e ideologica com'è quella di
famiglia naturale, utilizzata per legittimare politiche di stampo fondamentalista e
oppressivo, ma sul dialogo, sullo sviluppo delle qualità relazionali ed emotive,
sulla parità a prescindere dal sesso, sulle forme plurali che le relazioni affettive
assumono per conciliare l'amore con l'imprescindibile autonomia e libertà degli
individui che lo animano e gli danno corpo. Il riconoscimento delle unioni civili,
delle unioni tra omosessuali, il compimento della vittoria del referendum sul
divorzio con l'accorciamento dei tempi necessari a ottenerlo, rappresentano
conquiste civili da assicurare alle famiglie italiane, per rispettare la loro
verità, e difendere l'inalienabile libertà individuale anche nel campo, fondamentale
per la realizzazione personale e morale, delle scelte affettive.


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LA BATTAGLIA BELLA E IMPOSSIBILE DI SÉGOLÈNE

• da Il Riformista del 7 maggio 2007, pag. 1
di Paolo Franchi

Dunque niente sorprese, niente colpi di scena, niente magie dell’ultimo minuto. Come
era da un pezzo nelle previsioni universali, vince Nicolas Sarkozy, il Sarkozy che in
questi anni ha cambiato tra strappi e lacerazioni volto e pelle alla destra francese
e si è presentato con successo come il campione del cambiamento possibile,
concedendosi senza timore di pagare dazi troppo elevati, lui che un populista non è,
tutte le radicalità e le durezze del caso, compresa la legittimazione non di Le Pen,
certo, ma di molti umori dell’elettorato lepenista profondo altrettanto certamente
sì. E perde Sègoléne Royal, che pure era riuscita a mettere in condizione di non
nuocerle gli elefanti del suo partito (che adesso, c’è da scommetterlo, si
trasformeranno in avvoltoi) e anche a fare il miracolo di restituire la voglia di
combattere a una sinistra estenuata, divisa e prigioniera dei suoi vecchi fantasmi.
Sègo ha fatto, crediamo, tutto quello che ha potuto, e anche qualcosa di più,
mettendo in campo, lei, donna, una personalità più forte e appassionata, e comunque
assai meno incline alla manovra politicante, di tanti maschietti: con ogni
probabilità nessun altro candidato socialista avrebbe preso i suoi voti, né al primo
né al secondo turno. Ma non ce l’ha fatta, e non poteva farcela, a convincere la
maggioranza dei francesi che il rinnovamento della gauche da lei incarnato o almeno
simboleggiato fosse già adesso qualcosa di più significativo di un rinnovamento di
immagine, la promessa e la speranza concreta di una svolta modernizzatrice, per il
socialismo francese e per una Francia che ha smarrito tante delle sue orgogliose
certezze, più credibile della modernizzazione à la Sarko.
Di sicuro non l’ha aiutata la tendenza alla demonizzazione dell’avversario, quel
«tutti ma non Sarkozy» che ha circolato ampiamente nelle manifestazioni pubbliche,
sui giornali, in rete, negli ultimi giorni della campagna elettorale, di sicuro le ha
fatto del male l’evocazione, poi solo in parte ritrattata, delle banlieue in fiamme
in caso di vittoria del candidato della destra. Verrebbe da dire che gli strateghi
della sua sfortunata corsa all’Eliseo le avrebbero risparmiato errori simili, se solo
avessero guardato con un po’ di spocchia in meno all’America, dove la parola d’ordine
«anyone but Bush» certo non ha aiutato Kerry, o all’Italia, dove l’antiberlusconismo
puro e duro è valso pressoché solo a fare le fortune del Cavaliere. Ma c’è,
ovviamente, qualcosa di più profondo e di più serio, il male oscuro di una sinistra
(e davvero non parliamo solo del Ps francese) che quanto meno coglie le
trasformazioni, le ambizioni e le paure della società che gonfiano le vele
dell’avversario tanto più si intestardisce nelle sue parole di sempre. Sègo ci è
caduta solo in parte. In generale ha giocato la sua partita declinando le parole in
questione nel modo più appassionato e convincente possibile, e aggiungendone di nuove
e non facili, dalla sicurezza all’Europa. Non solo: ha cercato, forse tardi, ma ha
cercato, di gettare un ponte verso quei francesi (milioni) che nella gauche non si
riconoscono, ma in Sarko si riconoscono anche meno. Un risultato, importantissimo, lo
ha ottenuto, visto che quasi la metà degli elettori (anche se non la metà più uno,
che è quella che conta) ha votato per lei. È una sconfitta, certo, ma è anche un
miracolo: cinque anni fa, non un secolo fa, Jospin non era nemmeno arrivato al
ballottaggio. Dovessimo dare un consiglio non richiesto ai socialisti francesi,
diremmo: rinfoderate subito le armi della lotta intestina, risparmiateci il gioco al
massacro, ripartite con lei, ripartite da lei, dalle speranze che ha rianimato, dalle
forze che ha messo in movimento.





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